INDUSTRIE FILOLOGICHE

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Lorenzo Barcellini

Industrie filologiche per dar risalto alle virtu' di Celestino V

Edizioni Qualevita, pp. 368, euro 20,00

 

Motivo dell'opera all'amico lettore

Rare volte mi è accaduto di parlare, con persone devote ed erudite, della rinuncia del pontificato fatta da Celestino V ma tra le lodi udite con gioia, spesso mi sono rammaricato ricordando che quella azione eroica fu da un poeta ascritta a viltà d’animo, da qualche altro a debolezza di talenti, oppure ad una illusione di voci notturne da chi desiderava succedergli al trono pontificio. Codeste cose – dicevo ai miei amici – sono interpretazioni errate della Divina Commedia oppure chiacchiere del volgo. Ma (replicavano essi) se stanno così le cose, perché starsene con le mani in mano senza rigettare gli asserti motivi della rinuncia come falsi, e confutare quei primi Autori, che si presero arbitrio di registrarli nelle loro Cronache come veri?
Perché (riflettevo) non è prudenza andar cercando con il fuscellino le brighe letterarie, e aggiungere peso alle dicerie esaminando di nuovo vecchie questioni […] e mi schermivo con il detto del saggio: Non rispondere allo stolto secondo la sua stupidità, per non diventare simile a lui.
[…] Ma, confortato da quanto scrisse san Basilio “È inopportuno tacere a seguito di calunnie, per non permettere alla bugia di proseguire impunemente il suo percorso né tollerare che i danneggiati rimangano segnati dall’offesa”, affrontai l’impresa di scrivere.
Spronati da questo, molti figli del santissimo padre, secondo l’impulso particolare del proprio zelo e per quelle notizie che poterono avere, impugnarono le penne contro i calunniatori della sua rinuncia. E anch’io superai la mia debolezza per comportarmi nella stessa maniera. […]
Vorrei dire solamente, che la cortesia dei dotti e riveriti Amici incontrati nella inclita metropoli di Milano mi diede modo di leggere alcuni poco noti commentatori di Dante, i quali mi aprirono la strada a difendere questo sommo poeta, creduto derisore della rinunzia o perlomeno a scusarlo.
E così vi ho detto il motivo e l’argomento di questa operetta. […]

Chiamo questo mio scritto «Industrie filologiche» per mettere in risalto che, per conseguire l’intento, ho ritenuto opportuno principalmente esaminare e sbriciolare alcune voci della commedia di Dante, e dei suoi commentatori, dalla retta e benigna interpretazione delle quali dipende la sua difesa e la maggior gloria di Celestino.
Qualche volta la Filologia prenderà un’aria pungente di critica, ma la critica non sarà mai disgiunta dalla modestia, senza la quale la stessa verità arrossisce per la vergogna.
Un amico di bello e spiritoso impegno, letta questa mia opericciuola manoscritta, come se fosse geloso del mio buon nome, mi fece presente che vi erano sparse erudizioni in troppo gran copia, che potevo ridurre certi possibili rimproveri contro Dante, dare altro ordine alle materie, usare maggior diligenza nell’osservanza delle regole ortografiche, e sopra tutto auspicò uno stile più lontano dalle metafore ed allusioni: più sodo, di maggior polpa, e più uniforme al dialetto puro toscano praticato da valenti uomini dei secoli passati, ed imitato da moderni scrittori con lode delle Accademie accreditate.
Nel rivedere posso dire di corsa il fascicolo dei quadernetti, procurai, per quanto mi fu permesso dall’angustia del tempo, di togliere al candido Ammonitore ogni materia di lamentele rispetto ai primi punti; ma in quanto all’ultimo, che censura l’elocuzione, quando anche avessi voluto, non avrei potuto fare una riforma generale di tutte i periodi, né dar luogo a quel candore, quel lustro, quel non so che di grave antico, che tanto piace ai moderni affabulatori, e che infatti ben conosco anch’io essere il più bel pregio d’un libro.
Ma ormai la carta è giocata. “Preoccupati piuttosto di quello che scrivi, o Lucilio, non della forma”. Questo saggio consiglio del buon Seneca a Lucilio non scusano la rozzezza del mio stile e contro di me staranno sempre in piedi le accuse, e sarà inconsolabile il rammarico d’aver scritto senza i dovuti riflessi alle maniere  gentili del ben scrivere. […]
Se poi non vorrete sopportare una ortografia poco scrupolosa e troppo incostante, né scusare gli errori di stampa affrettata presenti specialmente nei primi capitoli, fate a mio modo, lasciate questo Libricciuolo in luogo, dove “lo consumino la ruggine e le tarme”.
E voi vivete sano ricordandovi, “che il nome mio ancor molto non suona”.

LORENZO BARCELLINI da Fossombrone, Abate Celestino
Milano, 1701


 

Questo libro è stato pubblicato dalle
Edizioni Qualevita
a cura
dell’Associazione culturale
“Fra’ Pietro da Morrone” - Sulmona

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